Il 13 agosto dello scorso anno è mancata una grande amica, che ha lasciato un grande vuoto dentro di me e in tutti coloro che l'hanno conosciuta.
Da lei ho avuto ispirazione per questo racconto che forse è più una poesia che un racconto vero e proprio.
Quindi questo racconto/poesia è per te mia Kri, ma anche per te Fer, che ci hai lasciato di nuovo orfane di un'altra persona speciale nel gennaio di quest'anno.
Grandi donne, belle, simpatiche e di cuore, come solo le donne sanno essere. Onorata di avervi conosciute, ragazze. Ci mancherete sempre.
E chiaramente a mia nonna.
Sissi
P.S.
Ultimo, ma non ultimo, un mio personale ringraziamento va a "Costa Crociere", che mi ha aiutato a crescere e mi ha dotato di magnifici ricordi.
Ti racconto,
nonna, com’è bello il mare.
A Kristel e
Fernanda, andate via troppo presto.
Vivrete sempre
nei nostri cuori.
Dormire cullati dallo sciabordio delle onde era una
consuetudine ormai, nonna. E’ qualcosa che poi ti rimane impresso nell’anima e
ti accompagna per il resto della vita.
Al mio primo imbarco avevo la cabina al ponte 3, al
livello dell’acqua, là, sulla Costa Riviera, così, quando mi accucciavo in quel
lettino, con la tendina tirata e con il viso rivolto verso la paratia, era come
se fossi una sirena che nuotava, accompagnando la nave all’entrata del prossimo
porto. Durante la notte, nonostante il rumore dei motori, la Costa Riviera era
una nave ormai vecchia, potevo distintamente sentire l’acqua sullo scafo e
addormentarmi al suono delle onde.
Mi hai sempre raccontato che ti sarebbe piaciuto
andar per mare, ma l’unica esperienza legata a quella grande distesa d’acqua
era il guardare, di tanto in tanto, dal terrazzo della villa, le navi che entravano
o si allontanavano dal porto. A volte navi mercantili, a volte traghetti, più
raramente navi passeggeri. Quando eri giovane tu, il concetto di crociera, come
lo si intende oggi, non esisteva.
Abbiamo sempre avuto la fortuna che il mare fosse un
elemento decorativo della nostra casa. Così vicini a lui, come inclusi nel
paesaggio marino.
L’odore del mare faceva parte della nostra casa e ne
impregnava i muri.
Nei miei ricordi di bambina e di adolescente
malinconica, senza amici coetanei, il mare ha sempre un posto d’onore, con la
salsedine che imbiancava gli infissi e che portava fino a noi profumi e dolori
lontani.
Quando c’era la guerra nella ex Yugoslavia, ad
esempio, a volte mi fermavo a guardare l’orizzonte dalla finestra o dalla riva
del mare e mi sembrava di esserne così lontana eppure così vicina. Divorando
quotidiani, sempre assetata di notizie, mi sembrava quasi di avvertire l’eco
degli spari dei cecchini portati fino a me dalla corrente e condividevo la
paura della gente che immaginavo nascosta in case danneggiate e buie.
D’altronde, è sempre stato così. Il mare avvicina ed
allontana le genti.
Sembrava incredibile che dall’altra parte del mare
un’altra me stava vivendo una tragedia così grande, mentre io me ne stavo lì,
in silenzio, a guardare la risacca, che per me significava quella casa amata-odiata
e che forse per qualcun altro significava invece libertà.
O quella volta che il mare ci ha vomitato tutta quella
gente, nostra dirimpettaia, ricordi nonna? Tutti quegli sconosciuti che come
uno tsunami hanno inondato di disperazione il porto, le strade e la tranquilla vita
di tutti i giorni. Appesi a quelle
tinozze invocavano solo acqua e pane e ancora arsi dal sale li abbiamo stipati
in lager all’aperto, sotto il sole d’agosto, e la rabbia che dilagava ha fatto
da controcanto alla noia vacanziera dei più.
Disperazione da una parte e salvezza dall’altra.
Gioia e dolore. Una riva vita e l’altra morte.
Così, più tardi, complice dei destini del mondo, quando
mi si è presentata l’occasione, ho preso la palla al balzo e sono partita
sull’amico mare, a scoprire se su sponde lontane poteva esserci maggiore serenità.
Mi sono imbarcata su uno di quegli hotel galleggianti
oggi tanto di moda, ma per mia fortuna, come prima esperienza, mi hanno mandato
a bordo di una nave ancora vecchio stile, che con i suoi ponti in legno ti
faceva pensare a viaggi antichi colmi di speranze e sogni.
Nonna, non sai com’era bello essere una goccia di
quel mare, cullarsi sulle onde o, nonostante il mal di mare, far parte, sballottati
e fieri, della rabbia di una tempesta.
Meraviglioso l’entrare in certi porti: le mura piene
di storia della Valletta, il ponte di Lisbona ed il monumento ai suoi
navigatori, la navigazione del Bosforo, come in un viaggio nel tempo, il
passaggio dello stretto di Messina, con Scilla e Cariddi a guardare la nostra
sfilata. O l’approssimarsi a Zena, bella e maestosa dal mare, con le luci cittadine
della sera che degradano e muoiono nell’acqua e la Lanterna a fare da cometa.
Guardare la terra da un altro punto di vista, nuovo,
inusuale, insieme quello di chi arriva e di chi parte, di chi saluta e di chi
spesso ha detto addio.
Nonna, ti avrei portato di notte a prua, sul ponte
più alto.
Sulla Riviera c’era una lingua esterna a cui ci si
arrivava facendo proprio tutte, tutte le scale, una estensione del ponte,
piccola, proprio sopra il ponte di comando, in cui all’estremità al massimo ci potevamo
stare tu ed io. Al buio, di notte, si era come inghiottiti dal cielo ed entravi
a far parte di quell’unione mare e cielo insieme. Se ti voltavi in avanti e ti
lasciavi alle spalle, in basso, anche le luci della nave, potevi cavalcare le
stelle. Il vento caldo dell’estate riempiva i capelli e si poteva rimanere lì
per sempre … e così capire perché è così bello andare per mare.
Nonna, ora sei qui attaccata a queste macchine, e
non posso mostrarti la schiuma che segue
i delfini che accompagnano la nave fuori da Dubrovnik o l’imponenza di Piazza
S. Marco entrando e uscendo da Venezia.
La senti la mia voce? Lo puoi vedere tutto questo
con gli occhi della mia memoria? Riesco a fartelo immaginare? A fartelo …
vivere?
Appena starai bene ti ci porto al mare, o a bordo,
se te la sentirai, per poter verificare che dico il vero, che il vento della
navigazione profuma di avventura e libertà.
Nonnina mia, che bello pensarti elegante che balli, con
il nonno che ti guarda con negli occhi il suo amore fatto di poesia, nel salone
di poppa dopo la cena di gala, sorridente e luminosa come sei sempre stata, con
la scia di spuma bianca che si intravede dalla vetrata dietro la band. Suonano
la vostra canzone, la senti? “… La lontananza sai, è come il vento, che fa
dimenticare chi non s’ama …” che si mischia in una nuova melodia con quella tua
risata buffa, e tu volteggi bella e leggera come una farfalla in volo, soave e
frusciante nel tuo abito da sera, come il suo battito d’ali.
Ma ora tu sei qui, immobile, con il respiro pesante
amplificato dalle macchine che suona invece un ritmo che sa di morte.
Non lasciarmi qui a guardarti impotente. Portami tu
nel mondo in cui sei adesso, dove stai vivendo, quel mondo che immagino così
bello da non voler tornare qui da me, fatto dello stesso mare che ti racconto,
forse, e perciò irresistibile.
Se sei felice lì, nonna, capirò, come voi avete
capito me quando sono andata via io, lontano dal rumore della mente, dalla
confusione dei conflitti e dal dolore di questa tua malattia che ti mangia
dentro e che è metafora stessa della vita.
E ti vedo ancora giovane con qualche filo d’argento
tra i capelli biondi sparsi ora su questo anonimo cuscino, dare un bacio al
chiaro di luna del ponte più alto, tutt’uno con il cielo, mentre io sono giù in
basso, tutt’uno con il mare, a dare lo stesso bacio in un ponte equipaggio che
ha un lieve odore rancido di quello che è il retroscena di quel mondo
sfavillante.
Non è tutto oro e lustrini una nave da crociera.
E’ anche spazzatura, scarti, sudore e lacrime di
bambini lasciati in paesi lontani ad aspettare i soldi dell’altra parte del
mare, indispensabili alla sopravvivenza di famiglie di marittimi nostalgici.
Quel bacio silenzioso, il mio, senza speranza del
domani, consapevole che ogni imbarco è una vita a sé, ogni nave una dimensione
in sé, insieme fuori dal mondo e tutto il mondo intero, conosciuto in quel
momento. Un universo cosmopolita, senza barriere, confini, razze, religioni.
Una comune perfetta, spensierata eppure malinconica, dove le risate, la
condivisione e il pensiero alle famiglie rimaste a terra sono il comune
denominatore. Il marinaio italiano, la receptionist argentina, la hostess
francese, il cameriere peruviano, il ballerino cileno, e chi più ne ha più ne
metta. Tante lingue diverse ed una sola al tempo stesso, quella dell’amicizia.
Per sempre stretta ed indissolubile perché fatta delle stesse esperienze e
della convivenza di imbarchi interminabili, in una successione di giorni tutti
uguali eppur diversi.
Ti sarebbe piaciuto questo mondo, nonna, o avresti
preferito il tuo essere passeggera in abito da sera, senza puzza o aloni di
sudore e con il tuo bacio fiero, esposto, gridato al mondo di chi quello stesso
mondo ce l’ha nella propria mano e può farne ciò che vuole?
Noi lavoravamo molto allora, sai, spesso fino a
tarda notte, e poi ci riunivamo su, al buffet deserto a bere un the, a giocare,
ridere e raccontarci le nostre vite e la giornata appena passata. A volte avevo
ancora addosso la maglia delle escursioni, impolverata di sabbia delle
piramidi, stanca ma con gli occhi luccicanti di chi fa il lavoro che ama.
Te li avrei presentati, nonna, i miei amici, coloro
che dividevano con me le onde di quel mare.
Però tu ora sei qui e non so se mi ascolti, se mi
riabbraccerai o abbandonerai per sempre, lasciandomi come ricordo il profumo
del sugo dei giorni di festa, che mi sembra di avvertire anche qui, mischiarsi
all’odore familiare dei medicinali.
In questo letto sconosciuto non c’è il nonno e le
sue fiabe della domenica mattina o l’eco di risate bambine e miagolii e guaiti
dei cuccioli di casa.
Ci sei tu sola, già per metà al di là di questa
vita, al momento fatta di dolorosa realtà, di ricordi e racconti e della mia speranza
di poterti portare, ancora una volta un giorno, con me, al mare.